I pazienti ad alto rischio con infarto STEMI traggono maggior beneficio assoluto da intervento coronarico percutaneo
Le meta-analisi di studi randomizzati hanno mostrato che l'intervento coronarico percutaneo ( PCI ) primario si traduce in una minore mortalità rispetto alla terapia fibrinolitica nei pazienti con infarto del miocardio.
Sono state studiate quali categorie di pazienti con infarto miocardico potrebbero trarre maggiori vantaggi dalla strategia di intervento coronarico percutaneo e, quindi, i più bassi numeri necessari da trattare per prevenire un decesso.
I dati individuali dei pazienti sono stati ottenuti da 22 studi randomizzati ( n=6.763 ) per valutare l'efficacia e la sicurezza della procedura PCI, rispetto alla fibrinolisi.
È stato sviluppato e validato un punteggio di rischio per stimare la probabilità di morte a 30 giorni negli individui. I pazienti sono stati poi divisi in quartili in base al rischio.
Analisi successive sono state eseguite per valutare se l'effetto del trattamento è stato modificato dal rischio stimato.
Complessivamente, 446 pazienti ( 6.6% ) sono deceduti entro 30 giorni dopo la randomizzazione.
Il punteggio del rischio di mortalità conteneva caratteristiche cliniche, tra cui il tempo dall'inizio dei sintomi alla randomizzazione.
L’indice C era 0.76, e il test Hosmer-Lemeshow non era significativo, riflettendo la discriminazione e taratura adeguata.
I pazienti randomizzati a intervento coronarico percutaneo hanno mostrato una più bassa mortalità rispetto ai pazienti randomizzati alla fibrinolisi ( 5.3% vs 7.9%, odds ratio, OR=0.63, P inferiore a 0.001 ).
L'interazione tra punteggio di rischio e termine di interazione del trattamento assegnato non ha apportato alcun contributo significativo al modello ( P=0.52 ), indicando che la riduzione della mortalità relativa per intervento coronarico percutaneo era simile a tutti i livelli di rischio stimato.
Al contrario, la riduzione del rischio assoluto era fortemente correlata al rischio stimato al basale: i numeri necessari da trattare ( NNT ) per prevenire una morte per intervento coronarico percutaneo rispetto alla fibrinolisi sono stati pari a 516 nel quartile più basso di rischio stimato rispetto a soli 17 nel più alto quartile.
In conclusione, l’intervento coronarico percutaneo è costantemente associato ad una forte riduzione relativa della mortalità a 30 giorni, indipendentemente dal rischio basale del paziente, e deve pertanto essere considerata come la prima strategia di riperfusione scelta ogni qualvolta sia possibile.
Se l'accesso ad un intervento coronarico percutaneo è superiore alle 2 ore, la fibrinolisi resta una soluzione legittima in pazienti a basso rischio a causa della lieve riduzione del rischio assoluto dell’intervento coronarico percutaneo in questa particolare coorte. ( Xagena2011 )
de Boer SPM et al, Am Heart J 2011; 161: 500-507
Cardio2011
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